sabato 17 ottobre 2009

Per dare un altro colpo a Berlusconi

La sentenza della Corte costituzionale sul «Laido Alfano» ha inferto un duro colpo all’Impunito; un colpo talmente duro, perché inatteso, che sta facendo di tutto per deformare la Carta e mandare all’aria lo Stato e quello che resta della decenza democratica. Berluskonijad fa i gargarismi con il popolo, che usa come una maionese da mettere sull’insalata russa del populismo di cui va ghiotto. Nulla gli importa che il popolo abbia un limite nella Suprema Carta, il cui art. 1 solennemente proclama: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», da cui discende che il popolo non è «Über Alles – Above All – Sobre todo», ma è «sotto» la Costituzione che ne costituisce il confine e ne determina il limite invalicabile. Il rancido e sistematico appello «alla divinità del popolo» è una aberrazione giuridica, segno che all’attuale Corrotto e Corruttore nulla importa del popolo, ma tutto interessa pur di riuscire a fregare ancora una volta la Legge, noi e i vostri figli che pagheranno amaramente l’ignominia dell’era berlusconiana. Bisogna dargli un’altra batosta e, anche a costo di apparire ingenuo, dopo avere riflettuto a lungo, credo che possiamo dargliela e anche ben assestata. Chi mi legge sa che non sono mai stato tenero con il PD e i suoi antenati, specialmente in questi ultimi tempi, a cominciare dai tempi delle cadute del governo Prodi. Ad esso attribuisco la maggiore responsabilità del ritorno del berlusconismo e della mancata opposizione governata di uomini di piccolo cabotaggio. Ero anche contrario ad un congresso «ora» perché c’era urgente bisogno di sostenere la casa andata a fuoco invece di cincischiare a giocare ai tre moschettieri di latta. Il Pd ha la colpa di avere fatto passare lo scudo fiscale che poteva fare cadere finalmente il governo. Non lo ha fatto colpevolmente. Tutto ciò premesso … Il giorno 25 ottobre vi saranno le primarie del PD per eleggere il segretario nazionale tra i tre candidati, Bersani, Franceschini e Marino. Al di là e sopra i miei sentimenti, che sono ben poca cosa di fronte all’Italia, già in guerra civile, non importa chi si vota, ma è determinante andare a votare. Berlusconi teme queste elezioni e ha tutto l’interesse che a votare vada una minima parte per potere deridere e gongolare di potere governare «Forever». Bene, diamogli una lezione, una mazzata, un colpo di maglio di democrazia:
ANDARE A VOTARE ALLE PRIMARIE DEL PD PER DARE UNA MAZZATA A BERLUSCONI E ADEPTI
Non è indifferente se a votare va un milione di persone o se vanno cinque milioni o sette milioni. Poiché stiamo dimenticando l’esercizio pratico della democrazia, ritengo che sia essenziale andare per affermare che esiste «un popolo» che non si rassegna al degrado democratico e morale: «un popolo che resiste» in nome della propria onorabilità, della propria indisponibilità in nome della propria opposizione irriducibile a Berlusconi e al virus del berlusconismo che ripudia con tutte le proprie forze.
Non possiamo limitarci al «mugugno» che, si dice a Genova«non costa niente». Forse resteremo delusi, ma avremmo dato una lezione irriducibile di democrazia e di presenza «politica». Non si tratta di votare PD, ma di usare il PD per un gesto supremo, forte e solenne contro una dittatura già in esercizio. E’ un dovere morale. Andare a votare alle primarie del PD è oggi una scelta istituzionale, una forma di resistenza, e l’affermazione del principio della sovranità popolare senza manipolazioni e senza leggi porcate. Invito pertanto tutti coloro che vogliono buttare fuori questo lercio governo e questa laida maggioranza ad andare a votare alle primarie del PD: votate il candidato che volete, votate vostra suocera o vostro genero, votate per il cane o per il criceto, ma andate a votare. In modo particolare mi appello alle donne che, come Rosy Bindi, non sono e non saranno mai "a disposizione" del magnaccia, con questo voto dicono la propria indignazione anche contro le donne di destra che si lasciano infangare, usare e nominare come schiave di un sultano che non ha nemmeno il coraggio di difendersi nelle aule del tribunale. Il Diritto Canonico mi vieta di iscrivermi ad un qualsiasi partito o sindacato che sono appunto «parti», ma ritenendo queste elezioni un «atto prepolitico e resistenziale», andrò a votare perché come cittadino sono impegnato in prima persona per il miglioramento della vita della mio Paese e per la sua dignità di popolo civile che si nutre di legalità e laicità. Io ci sarò, spero che saremo tanti da offuscare il sole e distruggere il nano di Casoria.
Paolo Farinella, prete da : http://iltafano.typepad.com/il_tafano/

domenica 11 ottobre 2009

Convenzione Partito Democratico

Bersani: "Una legge sul conflitto di interessi"
"Bisogna fare uscire dalle nebbie e portare al concreto il tema del conflitto di interessi fissandolo su due punti: le incompatibilità e le norme contro le posizioni dominanti".

Basterebbe questo per decidere chi sarà il prossimo Segretario del PD

Epifani: "Scelgo Bersani"
Alle primarie del Partito Democratico "penso che sceglierò Bersani".

Finalmente ! Ma allora sa anche prendere decisoni ....

Standing ovation per Napolitano

Questa è la prima buona notizia

Donne indossano magliette pro-Bindi
Le donne presenti alla convention indossano una maglietta con scritto: "Non sono una donna a sua disposizione",

e questa la seconda (senza nessuna ironia)

Fassino: "Bersani non è il segretario in pectore del Pd"

In fondo anch'io non sono mai stao il segretario dei DS

Assente Veltroni: "Non entro nel dibattito congressuale»
Forfait anche da Arturo Parisi

Ma allora qualche speranza rimane ...

Prodi: "All'Italia serve un grande Pd"
Romano Prodi non sarà al Congresso ma ha inviato un messaggio. Il "padre" del Pd chiama l'opposizione alla riscossa in un momento di emergenza democratica e "striglia" il partito diviso e spesso lontano dalle ragioni per cui è nato. "Serve all'Italia un grande Pd", pungola l'ex premier.

Continua la fuga all'estero dei cervelli migliori


Assente Rutelli bloccato a letto dalla febbre
Al Congresso sarà assente anche l'ex leader della Margherita Francesco Rutelli, bloccato a casa con la febbre.

Ma allora Dio esiste!

Niente da aggiungere !

La leggenda del premier eletto dal popolo
di ILVO DIAMANTI



"Presidente eletto dal popolo". Così si definisce Silvio Berlusconi. Sempre più spesso, da qualche tempo. Per rivendicare rispetto dai molti nemici che lo assediano. Ma, al tempo stesso, per marcare le distanze dall'altro presidente. Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica. Il quale, al contrario, è "eletto dal Parlamento". Anzi da una parte di esso. Perché Napolitano non è "super partes", ma di sinistra. Come tutte le altre istituzioni dello Stato. Corte Costituzionale e magistratura in testa. Non garanti. Ma soggetti politici. Di parte. Per questo Berlusconi non ne accetta le decisioni, ma neppure il ruolo. In pratica: considera le istituzioni dello Stato - e quindi la Costituzione - inadeguate. Peggio: illegittime. Meno legittime di lui, comunque. Presidente eletto dal popolo. Queste affermazioni, sostenute a caldo e a tiepido dal premier, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, si fondano su premesse discutibili, anzitutto sul piano dei fatti. Dati per scontati. Che scontati non sono. Il primo fatto è che Berlusconi sia un presidente "eletto dal popolo". È quanto meno dubbio. Perché l'Italia non è (ancora) un sistema presidenziale. I cittadini, gli elettori, votano per un partito o per una coalizione. Non direttamente il premier o il presidente. Anche se, dopo il 1994, abbiamo assistito a una progressiva torsione delle regole elettorali e istituzionali in senso "personale". Senza bisogno di riforme. Così, nella scheda elettorale, accanto ai partiti e alle coalizioni viene indicato anche il candidato premier. (Come ha lamentato, spesso, Giovanni Sartori). Tuttavia, non si vota direttamente per il premier, ma per i partiti e gli schieramenti. Silvio Berlusconi, per questo, non è un presidente eletto dal "popolo". Semmai dal "Popolo della Libertà". Da una maggioranza di elettori, comunque, molto relativa. Alle elezioni politiche del 2008 il partito di cui è leader Berlusconi, il Pdl, ha, infatti, ottenuto il 37,4% dei voti validi, ma il 35,9% dei votanti e il 28,9% degli aventi diritto. Intorno a un terzo del "popolo", insomma. Peraltro, prima di unirsi con An, fino al 2006, il partito di Berlusconi era Forza Italia, che non ha mai superato il 30% dei voti (validi). Al risultato del Pdl si deve, ovviamente, aggiungere il 10% (o l'8%, a seconda della base elettorale prescelta) ottenuto dalla Lega. I cui elettori, però, non hanno votato per Berlusconi. Visto che al Nord la Lega ha sottratto voti al Pdl, di cui è alleata e concorrente. E quando ha partecipato al governo (come in questa fase) si è sempre preoccupata di fare "opposizione". Questa considerazione risulta ancor più evidente se si fa riferimento al risultato delle recenti europee. Dove si è votato con il proporzionale e con le preferenze personali. Il Pdl, il partito di Berlusconi, ha infatti ottenuto il 35,3% dei voti validi, ma il 33% dei votanti e il 21,9% degli aventi diritto. Lui, il Presidente, ha personalmente ottenuto 2.700.000 preferenze. Il 25% dei voti del Pdl, ma meno del 9% dei votanti. Il risultato "personale" più limitato, dal 1994 ad oggi. Tutto ciò, ovviamente, non intacca la legittimità del governo e del premier. Semmai la sua pretesa di interpretare la "volontà del popolo". D'altronde, si vota una volta ogni cinque anni, mentre i sondaggi si fanno quasi ogni giorno. Per cui, più che sul voto, il consenso tende a poggiare sulle opinioni. Sulla "fiducia". Ma stimare la "fiducia" dei cittadini è un'operazione difficile e opinabile. Che non coincide con il consenso elettorale. Non si capirebbe, altrimenti, perché, se davvero - come sostiene Berlusconi - il 70% degli italiani ha fiducia in lui, alle recenti elezioni europee il Pdl si sia fermato al 35%, la coalizione di governo al 45% e le preferenze personali per il premier al 9% (dei voti validi). La fiducia, inoltre, è difficile da misurare. Per ragioni sostanziali, ma anche metodologiche. Soprattutto attraverso i sondaggi. Dipende dalle domande poste agli intervistati. Dagli indici che si usano. Alcuni fra i principali istituti demoscopici (come Ipsos di Nando Pagnoncelli e Ispo di Renato Mannheimer) utilizzano una scala da 1 a 10, per analogia al voto scolastico. Per cui l'area della "fiducia" comprende tutti coloro che danno a un leader (o a un'istituzione) la sufficienza (e quindi almeno 6). Oggi, in base a questo indice, circa il 50% degli italiani esprime fiducia nel premier Berlusconi (le stime di Ipsos e Ispo, al proposito, convergono). Mentre a fine aprile, dopo il terremoto in Abruzzo, superava il 60%. Ciò significa che negli ultimi mesi la "fiducia" del popolo nel premier si è ridotta, anche se risulta ancora molto ampia. Tuttavia, anche accettando questi indici, un 6 può davvero essere considerato un segno di "fiducia"? Ai miei tempi, nelle scuole dell'obbligo - ma anche al liceo - era una sufficienza stretta. Come un 18 all'università. Che si accetta per non ripetere l'esame. Ma resta un voto mediocre. Basterebbe alzare la soglia, anche di pochissimo, un solo punto. Portarla a 7. Per vedere la fiducia nel premier (e in tutti gli altri leader) scendere sensibilmente. Al 37%. Più o meno come i voti del Pdl. Con questi dati e con queste misure appare ardita la pretesa del premier di parlare in "nome del popolo". Tanto più che, con qualunque metro di misura, il consenso personale verso il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, risulta molto più elevato. Fino a una settimana fa, prima della recente polemica, esprimeva fiducia nei suoi confronti circa l'80% degli italiani, utilizzando come voto il 6. Oltre il 50%, con una misura più esigente: il 7. Lo stesso livello di consenso raccolto dal predecessore, Carlo Azeglio Ciampi. Anche da ciò originano le tensioni crescenti tra il premier e il Presidente della Repubblica. Nell'era della democrazia del pubblico. Maggioritaria e personalizzata. Dove i media sono divenuti lo spazio pubblico più importante. E il consenso è misurato dai sondaggi. Nessuno è "super partes". Sono tutti "parte". Tutti concorrenti. Avversari o alleati. Amici oppure nemici. Anche Napolitano, soprattutto Napolitano. Per la carica che occupa e la fiducia che ottiene. Agli occhi di Berlusconi, impegnato a costruire la leggenda del "presidente votato e voluto dal popolo". Non può apparire amico.